E riuscimmo, infine a riveder le stelle.

Sfidando la diffidenza fisiologica che i “suoi” operai nutrivano verso di lei, Vivi seguiva, quotidianamente, i lavori al Podere Le Corone e, assieme a una dose di pratica fattività e di buon umore, non tralasciava di portare caffè, panini e un paio di canzoni.

Tra tutti i motivetti che amava cantare, una volta imboccata la via d’ingresso del Podere, mentre la squadra smantellava l’enorme copertura dell’edificio, ce n’era uno che trovava appropriato per descrivere la situazione attuale in cui si trovava la struttura.

Faceva così: “C’era una casa, molto carina, senza soffitto e senza cucina, non si poteva restarci dentro perché non c’era il pavimento, non si poteva far la pipì perché non c’era il vasino lì…”

Vivi lo intonava ad alta voce tutti i giorni, tanto che, a lungo andare e a forza di ripeterlo tutte le volte che certi stimoli fisiologici diventavano difficili da espletare in uno spazio enorme e senza bagni, quel motivo cominciarono a cantarlo anche gli operai.
Lentamente, il Casale cominciò a operare sulla squadra il suo potere di riconciliazione con il mondo e i “Magnifici sei”, come li aveva battezzati Vivi il momento successivo a quello in cui li aveva visti, si sentirono come pervasi da una benevolenza difficile da spiegare.

Dopo le prime due settimane, ormai, per loro, la presenza di Vivi, che si abituarono ad avere come referente, era normale, rassicurante e, addirittura, protettiva.
Alla diffidenza, a poco a poco, quasi come fosse un graduale processo di cambiamento interiore, i sei avevano sostituito la dedizione, la fiducia incondizionata e la stima profonda, nei confronti della donna.
La squadra si era modellata, adeguata e adattata a quella guida risoluta e dolcissima.
Vivi si era modellata, adeguata e adattata alle situazioni che aveva dovuto imparare a gestire, con rigore e gentilezza.
Insieme, si erano modellati, adeguati e adattati tra di loro, al punto da essere diventati i Magnifici sei più una.

Rinnovati da uno spirito più collaborativo e fattivo, giorno dopo giorno, gli operai lavoravano, alacremente, per restituire alla struttura lo splendore originario.
Tutti avevano ben compreso che lo spirito che animava le operazioni era improntato all’arte del riutilizzo dei materiali antichi, di cui il Podere faceva dono.
Pertanto, vennero conservate tutte le pianelle di cotto con cui i soffitti erano stati realizzati: queste vennero smontate, pulite con un particolare sistema, e rimontate nella posizione originaria.

E fu proprio smontando ciò che restava dei tetti, che ognuno di loro si accorse che le travi, su cui poggiava l’intera costruzione della copertura, avevano una caratteristica straordinaria.

“Signò!” – disse il capomastro, rivolgendosi a Vivi – “Ste travi che reggono er tetto so travi de castagno, sa?”
“Ah” – ribatté lei – “E quindi, che vuol dire?”
“Significa che so travi che se modellano, s’adeguano e s’adattano ar peso che devono sopportà! Ste travi e potemo riutilizzà tutte, mi sa. Basta girarle un pochetto…”

Ecco.

Quel giorno, Vivi capì che se c’era qualcosa di veramente straordinario nel Casale era che, quell’edificio si modificava assieme ai battiti del cuore di chi gli restava accanto.
Quel luogo operava piccole magie invisibili, tali per cui, tutti quelli che vi entravano in contatto divenivano parte di esso.
Chi vi lavorava sentiva che, lentamente, cominciavano a crescergli travi di castagno a sostegno del cuore e dell’anima e diventavano malleabili, adattabili, pronti a reggere la pesantezza del mondo, aperti all’imponderabile.

Quel giorno, per la prima volta, Vivi fu felice che gli abitanti di Doglio la chiamassero “La Signora delle Corone”, perché realizzò che quel luogo era davvero magico e che lei era felice di esserne regina.

Agriturismo Podere le Corone
Casteldoglio S.R.L.
Frazione Doglio
06057 Monte Castello di Vibio (PG)
tel/fax: +39 075.8780733
p.iva: 02067120549
info@poderelecorone.com
Privacy Policy